3. Condizione lavorativa e disagio economico dei caregiver dei malati oncologici

a cura di C. Collicelli e L. Durst – CNR; F. De Lorenzo – F.A.V.O.; E. Iannelli, L. Del Campo, F. Traclò – Aimac; G. Beretta – AIOM; F. S. Mennini e C. Nardone – EEHTA-CEIS; A. Sproviero– Datamining; P. Baili e M. Sant – INT di Milano

Con l’XI Rapporto FAVO del 2019 sulla condizione dei malati oncologici, si è dato avvio ad una ampia analisi dei costi economici e sociali del cancro per i pazienti e le famiglie, condotta attraverso una indagine realizzata nel 2018 su 1.289 pazienti e 1.205 care-giver1. Con quel primo contributo è stata proposta una iniziale rendicontazione rispetto agli aspetti più importanti e generali, in termini di entità e di caratteristiche qualitative, dei costi e dei disagi socio-economici provocati dalla patologia oncologica.

Dopo questa prima anticipazione, si è proseguito nel lavoro di analisi della grande massa di dati e di informazioni prodotte dall’indagine, per focalizzarsi, nel XII Rapporto FAVO 20202, sulla condizione socio-economica e lavorativa dei malati oncologici. Il lavoro condotto in quella sede ha permesso di richiamare l’attenzione sulla realtà, ben nota agli interessati ma sottovalutata nel resto dei contesti, del disagio economico, sociale e psicologico cui vanno incontro i malati di cancro in Italia. Attraverso una elaborazione di secondo livello dei dati raccolti in merito, si è potuto arrivare ad una quantificazione e qualificazione delle diverse forme di disagio, con particolare attenzione per i cambiamenti intervenuti nella vita lavorativa e rispetto alle disponibilità economiche.

Il presente contributo intende ora offrire una simile analisi di approfondimento del disagio sociale per quanto riguarda i care-giver intervistati nel corso della indagine sui costi economici del cancro di cui sopra. Innanzitutto quindi alcune informazioni sul campione studiato.

Il profilo dei care-giver intervistasti

Come si diceva, si è trattato di 1.205 care-giver, per il 57% donne e per il 43% uomini, con una età media di 52 anni. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone legate al malato di cancro da un rapporto di parentela: moglie, marito, figlia, figlio, sorella, fratello o genitore, ed in misura minore altre parentele.

Per quanto riguarda il titolo di studio, si tratta di titolari di un diploma secondario nel 39% dei casi, nel 23,7% di laureati, nel 13,2% di titolari di qualifica professionale, nel 17,8% di scuola media inferiore e nel 5,1% di licenza elementare. Dal punto di vista della condizione professionale al momento in cui ha iniziato ad occuparsi del paziente, si trattava di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato nel 35% dei casi ed a tempo determinato nel 7% dei casi; di liberi professionisti nel 9% dei casi; pensionati nel 16% dei casi; e casalinghe nel 13%. (tabella 1)

Tabella 1

I settori occupazionali sono vari. Nell’ordine: servizi, sanità, commercio, turismo, pubblica amministrazione, industria e agricoltura.

In più della metà dei casi il care-giver convive con il malato e l’assistenza prestata riguarda, in ordine di importanza, l’accompagnamento, il supporto morale e psicologico, i rapporti con l’équipe curante, il supporto nelle attività quotidiane ed in quelle esterne ed anche il supporto economico; per un impegno orario settimanale medio di 42 ore, che in alcuni casi raggiunge livelli molto più elevati (fino a 100 ore settimanali). Gli aiuti ricevuti dal care-giver per la sua attività di assistenza al malato di cancro derivano in larga misura anch’essi da membri della famiglia: genitori, fratelli e sorelle, figli ed altri parenti.

Per quanto riguarda il tema dei disagi cui il caregiver va incontro, ed in particolare per ciò che attiene alla situazione lavorativa ed economica, l’indagine ha permesso di rilevare dati molto interessanti relativi al reddito, alle spese sostenute ed all’impegno lavorativo. Il reddito dei caregiver si è ridotto, da quando ha iniziato ad occuparsi del paziente, in 324 casi su 1.205 intervistati, in media del 29%. Rispetto alle cause della riduzione, quella più indicata sono le assenze, seguite dal rendimento lavorativo. Anche le spese sostenute vengono indicate come terza causa di riduzione del reddito, ed alla richiesta di indicare di che tipo di spese si sia trattato, i care-giver segnalano principalmente le spese di trasporto, alimentazione, assistenza domiciliare retribuita e supporto psicologico.

L’analisi sul disagio economico dei care-giver

A partire da questa base informativa, ed in vista della predisposizione del presente capitolo, si è proceduto quindi ad effettuare una analisi statistica di secondo livello sul tema del disagio socio-economico dei caregiver intervistati. L’impianto metodologico utilizzato è molto simile a quello della precedente indagine sulla condizione lavorativa ed il disagio dei malati oncologici. Anche in questo caso, cioè, si è proceduto alla costruzione di specifici indici sintetici di disagio economico e sociale, ottenuti grazie ad un raggruppamento di cluster di alcune variabili del questionario, che misurano diverse fenomenologie.

Utilizzando una “tecnica ad albero” in relazione ad alcune delle domande e relative risposte del questionario utilizzato, selezionate allo scopo, sono stati individuati due livelli di difficoltà ed evidenziati due profili.

  • Disagio economico di base, e cioè la misurazione di un primo livello di difficoltà economiche, costruito considerando coloro che hanno affermato di avere difficoltà in una qualsiasi delle variabili che definiscono il profilo economico rilevate nell’indagine, ovvero che hanno dichiarato di aver avuto qualche forma di aiuto economico o di supporto in termini di tempo da parte di altre persone per l’attività di assistenza, oppure hanno dichiarato una riduzione del reddito annuale;
  • Disagio economico rilevante, e cioè la misurazione di un livello maggiore di disagio economico, costruito considerando coloro che hanno affermato di avere ricevuto qualche forma di aiuto economico o di supporto in termini di tempo, e contemporaneamente hanno espresso riduzione del proprio reddito annuale.

I risultati dell’analisi sul disagio economico dei care-giver

Dall’applicazione degli indici qui descritti al campione dei care-giver intervistati (1.205) è risultato che se per la maggior parte di essi (58,1%) non si registrano disagi economici, sono circa il 40% del campione coloro per i quali verificano simili disagi, che per il 6% di essi si configurano come disagio rilevante (tabella 2).

Tabella 2

Per quanto riguarda i cambiamenti intervenuti nella condizione lavorativa degli intervistati (a seguito della diagnosi di cancro del malato alla cui assistenza gli intervistati si dedicano), come mostra la tabella 3, dall’indagine emerge come il sopraggiungere della malattia influisca prevalentemente sui lavoratori a tempo indeterminato o stabilmente, ove si registra la più significativa diminuzione, dal 35,1% al 32,4%; nonché sui pensionati (con un incremento del 2%) e sui disoccupati, cassa integrati e liste di mobilità, che aumentano dal 4,1% al 5,5%.

In generale, si riscontra una diminuzione di circa il 2,5% della popolazione attiva (dal 60,8% al 58,4%), un dato che conferma la difficoltà di mantenere il lavoro durante la fase di assistenza legata alla malattia, anche al netto delle uscite del lavoro per età pensionistica, ma con valori meno incisivi di quelli riscontrati nella popolazione di malati.

Tabella 3

Le considerazioni qui sopra esposte trovano ulteriore conferma andando a verificare l’incidenza delle varie forme di disagio misurate nelle diverse categorie di condizione lavorativa.

In generale manifestano percentuali maggiori di disagio economico le categorie di lavoratori a tempo indeterminato (35%), i pensionati (14%), i lavoratori casalinghi (11%) ed i liberi professionisti (10%), Dalla lettura dei dati relativi alla condizione lavorativa ed al livello di disagio economico emergono però alcune tipologie dove il disagio economico si presenta come particolarmente rilevante: innanzitutto i liberi professionisti ed i lavoratori disoccupati o in cassa integrazione, ma anche i lavoratori “fragili”, e cioè coloro che hanno contratti a tempo determinato, lavorano con forme flessibili, ma anche casalinghi e pensionati (tabella 4).

Tabella 4

Quanto appena riscontrato risulta particolarmente evidente nella tabella 5, dove vengono riportati i dati della distribuzione del disagio economico rispetto a 4 raggruppamenti sintetici di tipologie di lavoro: dipendente pubblico (pari all’11% del campione), dipendente privato (pari al 21%), lavoratori flessibili (pari al 30% del campione intervistato, che include oltre ai dipendenti a tempo determinato e i collaboratori con forme flessibili di lavoro, i lavoratori autonomi iscritti ad una cassa previdenziale, i liberi professionisti, gli artigiani e i commercianti) e gli inattivi (la componente più ampia, pari al 42%). I dati, oltre ad evidenziare un probabile impatto negativo in termini di perdita di produttività e fiscale, fanno emergere un problema molto importante legato alle tutele sociali. Sembra emergere cioè una situazione caratterizzata da una maggiore tutela per chi è dipendente pubblico, rispetto a coloro i quali svolgono attività libero professionali o sono dipendenti nel privato. Nuovamente, la probabile mancata tutela per queste categorie di lavoratori potrebbe da una parte inficiare e ridurre il loro impegno in qualità di care-giver e dall’altra determinare perdite economiche per il Paese molto importanti che andrebbero quantificate.

Se, con riferimento al disagio economico tout court, si rileva come le percentuali riproducano sostanzialmente la consistenza del campione, per quanto riguarda il disagio economico rilevante se ne riscontra la particolare intensità per la tipologia del lavoratore flessibile (36% di coloro che manifestano un disagio economico rilevante appartengono a questa tipologia contro la quota della categoria sull’intero campione del 26%). Analogo discorso potrebbe farsi per i dipendenti privati (24% vs. 21%) mentre, al contrario, nel caso degli inattivi manifesta disagio economico rilevante “solo” il 31%, a fronte di una consistenza della categoria sul campione del 42%.

Tabella 5

La tutela normativa dei care-giver: un percorso ancora in costruzione

Già il X Rapporto FAVO del 2018 sulla condizione dei malati oncologici si occupava della questione del care-giver oncologico quale figura essenziale per la sostenibilità dei sistemi di welfare, a fronte di un riconoscimento ancora embrionale di tale ruolo da parte della normativa italiana ed europea. In particolare, si metteva in luce la necessità della valorizzazione della figura del “prestatore di cura”, senza il cui apporto «non sarebbe possibile garantire l’erogazione diretta di tutte le prestazioni di assistenza richieste nelle diverse ipotesi di disabilità (permanente, temporanea, legata a fattori ambientali, ecc.)»3.

Come segnalato nel Rapporto FAVO 2018, solo di recente in Italia è avvenuto un primo riconoscimento formale della funzione dei care-giver, quali soggetti che “prestano volontariamente e informalmente assistenza a un familiare o comunque a un congiunto”, e degli strumenti per il loro sostegno, tramite la previsione di un fondo di 20 milioni di euro all’anno per il triennio 2018-2020, stabilita nella legge di bilancio per il 20184.

Le vicende attuative della legge hanno mostrato numerose carenze, nonostante siano state affiancate anche da disegni di legge di iniziativa parlamentare volti ad affermare il riconoscimento di tali figure, che nella fase di emergenza pandemica non possono che aver incontrato ulteriori difficoltà e battute di arresto.

Riprendendo alcuni punti dal precedente rapporto, al fine di delineare il quadro normativo, a livello europeo può richiamarsi, nell’ambito del “Pilastro Europeo dei diritti sociali”, la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio. La disciplina comunitaria prevede che le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza, secondo una (auspicata) parità di accesso di donne e uomini e con riguardo a una adeguata protezione sociale per tutti i lavoratori.

A tal riguardo si è già a suo tempo sottolineato come gli obiettivi di armonizzazione dati dalla  direttiva risultino piuttosto limitati,poiché i livelli di tutela sono molto differenziati fra gli stati membri e il quadro giuridico attuale sconta numerose insufficienze sia con riguardo all’equa ripartizione delle responsabilità familiari e professionali tra uomini e donne , sia con riguardo alle modalità di lavoro flessibili. Il principale aspetto critico della condizione dei prestatori di assistenza rimane la tutela previdenziale.

Dal punto di vista del contesto normativo italiano, l’analisi delle proposte di legge per addivenire a una disciplina unitaria (testo unico) consentiva, secondo il Rapporto FAVO 2018, di individuare alcuni elementi di particolare criticità:

  • il profilo definitorio, che necessita di una definizione complessa e a maglie non stroppo strette, onde evitare ingiustificate limitazioni che vadano a scapito di una efficace attività di assistenza
  • modalità di accesso alle misure di sostegno e loro definizione, tramite la creazione di una sorta di sottosistema di welfare destinato ai caregiver, comprendente tutele di varia natura (previdenziale, per malattie, assicurativa, del reddito)
  • necessità di una visione “laica” dell’opera del care-giver, basata sul positivo impatto sociale e sul contributo determinante dato ai sistemi sanitario e sociosanitario integrati, e non riferita a valutazioni di tipo etico che premino maggiormente la “volontarietà” delle attività svolte dal prestatore di assistenza, a discapito di quanti, costretti dalla carenza di servizi alternativi e dalla mancanza di adeguate risposte, debbono intervenire in prima persona per assistere una persona di fiducia bisognosa di assistenza
  • inadeguatezza del modello unitario e generico del care-giver, che non tiene conto invece delle disparità di trattamento, legate anche alla tipologia di lavoro che il prestatore di assistenza è costretto ad abbandonare.

In particolare, si segnalava come il limite principale dello schema di testo unificato fosse rappresentato proprio dalla mancata previsione di misure concrete a sostegno dei care-giver, comprensivo di un sistema efficace di controllo dei requisiti di accesso ai benefici. La legge si limita infatti (nel rispetto delle competenze costituzionali fra Stato e Regioni) a orientare la futura attività di programmazione regionale, rinviando alla sessione di bilancio la quantificazione delle risorse da destinare, da parte dello Stato, a favore dei prestatori volontari di cura.

A tal riguardo si sono sollecitate sia l’esigenza di destinare al care-giver informale iniziative di formazione specifica che l’urgenza, in conformità con quanto delineato a livello europeo, di estendere le misure di sostegno a tutela del care-giver lavoratore (consistenti soprattutto nella concessione di permessi o congedi retribuiti, nell’adattamento dell’orario di lavoro o nella giustificazione di assenze), previste esclusivamente per i lavoratori dipendenti, anche ai lavoratori autonomi e liberi professionisti, finora drammaticamente privi di (adeguata) tutela (se non in termini di eventuali minime agevolazioni fiscali o contributi economici una tantum).

Tale situazione non ha subito particolari modifiche a seguito della legge di bilancio per il 2021 (art. 1 co. 334, l. n. 178/2020), che ha previsto un fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2021-2023, destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale. Senza addentrarsi in questa sede nelle questioni relative alla mutata destinazione dei fondi, vale segnalare come questa sia ora ricondotta alla originaria copertura finanziaria di interventi legislativi in materia, che dovrebbero consentire di dare una compiuta e stabile disciplina alla materia, fornendo tra l’altro un quadro di interventi statali di base omogenei su tutto il territorio nazionale.

Ad oggi, tuttavia, le analisi condotte a commento della disposizione segnalano che, sommando le risorse non utilizzate nei precedenti esercizi finanziari e riassegnate al Fondo, risultano inutilizzati 70 milioni di euro, da assegnare, secondo i criteri di priorità approvati in Conferenza unificata (20 ottobre 2020): ai care-giver di pazienti con gravissima disabilità (come definita dall’art. 3 del decreto 26 settembre 2016); ai care-giver di coloro che non hanno avuto accesso alle strutture residenziali a causa delle disposizioni normative emergenziali comprovata da idonea documentazione.

Per quanto tale quadro appaia comprensibilmente improntato all’esigenza di allocare subito alle regioni le risorse accumulate per dare risposte alla situazione emergenziale, il timore ancora una volta è che venga meno l’inquadramento delle risorse all’interno di un sistema unitario, e che le Regioni utilizzino le somme ripartendole tra i vari beneficiari, senza invece attivare seri percorsi di presa in carico e di tutela previdenziale e assicurativa per i care-giver5.

In proposito, nell’analisi citata si segnalano come imprescindibili i seguenti punti:

  1. valorizzazione del care-giver quale perno attorno a cui far ruotare servizi, interventi, prestazioni da garantire alla persona con disabilità all’interno di un più ampio progetto di vita della stessa;
  2. concreti interventi di supporto al care-giver;
  3. libertà di scelta da parte della persona con disabilità del familiare che debba assumere la qualifica di care-giver, nel novero di quelli più strettamente legati ad esso (semmai anche da un rapporto di convivenza, come si dirà meglio infra);
  4. evitare il rischio di rendere il rapporto persona con disabilità/care-giver esclusivo e quindi segregante ed a rischio di emarginazione sociale;
  5. evitare per lo stesso care-giver forme di isolamento familiare, l’abbandono dell’attività lavorativa e la marginalizzazione sui posti di lavoro e nelle relazioni sociali causate dall’attività del prendersi cura;
  6. maggiore attenzione per i care-giver di lunga durata;
  7. evitare che il sistema di welfare arretri delegando (se non addirittura “scaricando”) sul care-giver l’intero carico assistenziale e di promozione di sviluppo della persona con disabilità, a fronte semmai del riconoscimento di alcuni benefici fiscali o di una semplice indennità in favore di quest’ultimo;
  8. prevedere sistemi di intervento compensativi o di emergenza nel caso di circostanze eccezionali (ad esempio il ricovero ospedaliero urgente del care-giver) ovvero di eventi di grande impatto come quello pandemico (con isolamento in casa del care-giver e suo familiare) o di cataclismi naturali (terremoti o altre situazioni di emergenza naturale).

Tali indicazioni di policy trovano ulteriore conferma alla luce dei risultati dell’analisi riportata nel presente capitolo, da cui emerge in particolare come le tipologie di lavoratori dove il disagio economico è rilevante siano costituite dai liberi professionisti, dai lavoratori disoccupati o in cassa integrazione, dai lavoratori “fragili”, ovvero coloro che hanno contratti a tempo determinato o forme flessibili, oltre che casalinghi e pensionati. Ed anche in termini aggregati, sono proprio i lavoratori flessibili la tipologia che manifesta il maggior disagio economico rilevante.

Non si può infine non menzionare come la tragica esperienza dell’emergenza Covid abbia ulteriormente confermato l’importanza e la necessità di incrementare e agevolare le funzioni di assistenza domiciliare, di cui la rete di supporto informale costituita dai care-giver ha da sempre assunto l’onere.

Infine non occorre ribadire il fatto che ricevere cure palliative al domicilio, oltre a rispondere alle preferenze di pazienti e familiari, favorisce una migliore qualità di vita e costituisce una scelta assistenziale decisamente più sostenibile dal punto di vista economico ed è per questo motivo che incentivare questo tipo di setting non può non rappresentare una priorità delle politiche sanitarie della maggior parte dei paesi occidentali.

Note

1. ^ Indagine a cura di Favo, Aimac e Datamining, con la collaborazione dell’INT di Milano e dell’Istituto Pascale di Napoli. Vedi: F. De Lorenzo e altri (a cura di), Indagine sui costi sociali ed economici del cancro nel 2018, in: Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 11° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2019.

2. ^ C. Collicelli e altri (a cura di), Condizione lavorativa dei malati oncologici e disagio economico e psicologico, in: 12° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2020.

3. ^ M. Campagna, E. Iannelli e altri (a cura di), Il Caregiver oncologico: rilevanza per la sostenibilità dei sistemi di welfare, stato dell’arte della normativa italiana ed europea, in: 10° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, 2018.

4. ^ Mentre già dal 1992 esistono norme per l’adattamento delle condizioni di lavoro alle esigenze di assistenza di persona in stato di handicap.

5. ^ Fondo per interventi legislativi a favore dei caregiver (Art. 1, comma 334, l.178/2020). Le misure adottate, in breve. http://www.handylex.org/news/2021/01/29/misure-della-legge-di-bilancio-per-l-anno-2021-di-interesse-per-le-persone-con-disabilit-loro-familiari-e-associazioni#Fondi%20a%20favore%20dei%20caregiver.

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13° Rapporto - Capitolo 3

Condizione lavorativa e disagio economico dei caregiver dei malati oncologici