13. Screening oncologici al tempo della pandemia da SARS-CoV-2

a cura di P. Mantellini, P. Falini, G. Gorini, M. Zappa – Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO)

Gli effetti della pandemia sullo screening oncologico organizzato

Lo screening oncologico organizzato per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon-retto è, ai sensi del DPCM del 12 gennaio 2017, un Livello Essenziale di Assistenza (LEA). Le Regioni, attraverso le proprie Aziende Sanitarie, sono quindi tenute ad erogare questi interventi che si caratterizzano come profili complessi di assistenza in cui l’organizzazione e la qualità dei processi sono elementi fondamentali per garantire efficacia e efficienza del percorso. In quanto LEA, il percorso di screening è strettamente monitorato dal Ministero della Salute che attraverso l’analisi di specifici indicatori controlla periodicamente lo stato di salute dei programmi di screening.

Nel lock down di marzo e aprile 2020 gli screening oncologici hanno subito una importante battuta d’arresto in particolare per quanto riguarda l’esecuzione dei test di screening (mammografia nello screening per il tumore della mammella, Pap e HPV test nello screening per il tumore del collo dell’utero, ricerca del sangue occulto fecale e rettosigmoidoscopia nello screening per il tumore del colonretto). Si è invece cercato di assicurare gli approfondimenti diagnostici nei soggetti positivi ai test e gli esami di follow up anche se a fronte di modifiche di tipo logistico e temporale imposte dall’emergenza pandemica.

La scelta di interrompere gli inviti e l’esecuzione dei test ha avuto diverse motivazioni. La necessità di ridurre la circolazione di persone per contenere i contagi si è accompagnata ad una riduzione delle risorse disponibili. Una parte del personale dedicato alla organizzazione dello screening (dalla predisposizione degli inviti alla gestione dei call center alla programmazione ed erogazione delle sedute ambulatoriali) è stata ad esso sottratta e coinvolta nella gestione dell’emergenza pandemica (indagini epidemiologiche, organizzazione dei servizi adibiti al campionamento tramite tampone, supporto per la gestione diagnostica e di cura dei pazienti SARS-CoV 2 positivi). Le misure di contrasto al rischio infettivo per gli utenti e gli operatori (distanziamento fisico, procedure di sicurezza e di sanificazione) hanno di fatto determinato una riduzione degli spazi (ad esempio sale di attesa) e una nuova scansione degli appuntamenti dilatando il tempo necessario per l’esecuzione di ogni prestazione. Peraltro, se durante il lock down, la minor disponibilità di spazi e la dilazione dei tempi sono state estremamente accentuate, tuttora rappresentano le questioni “calde”. E non solo, in alcune realtà, parte del personale non è stato ancora ri-allocato all’attività di screening. Infine, anche la ridotta disponibilità di alcune funzioni verticali quali i laboratori che sono stati del tutto o in parte riconvertiti alla gestione della diagnostica Covid ha fortemente minato la lettura e processazione dei test di screening cervicale e colorettale. Interrompere l’attività di screening primario, da sempre programmata con largo anticipo, ha comportato un impegno frenetico da parte dei servizi di screening che si sono improvvisamente trovati a dover attivare modalità organizzative completamente nuove per entrare in contatto con la popolazione in tempi strettissimi. Il contatto con la popolazione durante il lock down prima e alla ripresa poi è stato quanto mai delicato perché ha toccato “corde” comunicative nuove anche per gli stessi operatori. Peraltro, l’elemento della comunicazione è un tema critico anche ad un anno dal lock down perché da più parti, anche laddove la pandemia è stata meno dirompente, si sta registrando una riduzione della partecipazione dei cittadini attribuibile alla paura di accedere ai presidi sanitari e di essere contagiati. E questo, nonostante siano state in molti casi incrementate modalità di contatto più diretto quali quelle telefoniche e che sono considerate in genere, sebbene più impegnative dal punto di vista organizzativo ed economico, più efficaci nel promuovere gli interventi di prevenzione.

Le misure del ritardo

L’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), network di coordinamenti regionali, che fornisce supporto tecnico al Ministero e alla Conferenza Stato-Regioni per il monitoraggio dei programmi di screening oncologico, nel 2020 ha condotto una indagine qualitativa per comprendere i cambiamenti organizzativi operati dai programmi di screening al momento della ripresa e tre indagini quantitative (condotte su tutte le Regioni, ma con differenze in merito alla completezza della copertura del territorio e ai periodi forniti), relative ai periodi gennaio-maggio, gennaio-settembre, ottobre-dicembre e complessiva gennaio-dicembre per misurare l’entità dei ritardi e la velocità di ripartenza. I dati relativi ai periodi gennaio-dicembre e ottobre-dicembre sono da considerarsi ancora preliminari perché sono ancora in corso alcuni aggiornamenti su specifiche aree. I dati più recenti relativi al periodo gennaio-dicembre 2020, rispetto all’analogo periodo 2019 considerato periodo di “normalità”, hanno evidenziato importanti ritardi sia per quanto riguarda il numero di soggetti invitati che il numero di test di screening erogati (espressi questi ultimi anche in termini di “mesi standard” cioè di numero di mesi di attività che sarebbero necessari per recuperare il ritardo con i volumi di attività pre-pandemici di ogni singola Regione) e riportano anche una stima delle lesioni perse e che potrebbero aver subito un ritardo diagnostico. Nella tabella 1 una sintesi delle misure prodotte a livello italiano.

Tabella 1: differenze in termini di inviti, esami e lesioni perse nello screening per il tumore della mammella, della cervice uterine e del colonretto, periodo gennaio-dicembre 2020 versus 2019

Tabella 1

Se si analizza il dato in termini di persone esaminate in meno, il ritardo che si sta accumulando è imponente: complessivamente si osserva una riduzione di due milioni e mezzo di esami di screening e precisamente 2.530.270 anche se è opportuno segnalare che vi sono ampie differenze tra una regione è l’altra. Come conseguenza di questo ritardo preoccupa la stima delle lesioni perse e per le quali va tenuto conto della diversa storia naturale di questi tre tipi di tumore. Le conseguenze cliniche maggiori, con effetti anche sulla mortalità, sono potenzialmente a carico dello screening mammografico e colorettale dove potrebbe accadere che l’individuazione della lesione tumorale si verifichi a uno stadio più avanzato richiedendo quindi terapie più invasive e costose e perdendo parte del vantaggio legato alla diagnosi precoce.

Per tutti e tre i programmi di screening complessivamente il ritardo è compreso tra i 4.5 ed i 5.5 mesi standard e se si confrontano tra di loro i vari periodi di rilevazione, si osserva che il numero di esami effettuati in meno e i mesi standard di ritardo sono più contenuti rispetto al primo periodo durante il quale gli inviti erano stati sospesi (tabella 2). Questo è certamente dovuto al fatto che in molte Regioni ci si è attivati potenziando le attività in particolare nel periodo giugno-dicembre, ma le differenze tra programmi sono anche molto rilevanti. Sembra che complessivamente l’impegno maggiore si sia realizzato in ambito di screening mammografico anche se pure per lo screening cervicale e quello colorettale si è osservato un progressivo contenimento dei ritardi per periodo.

Tabella 2: velocità della ripresa espressa come differenza in esami effettuati in meno e mesi standard di ritardo per periodo di rilevazione

Tabella 2

Altro elemento di preoccupazione è che le disparità geografiche esistenti già in epoca pre-Covid dove si osservava un gradiente Nord-Sud con coperture inferiori al Sud, sembrano mantenersi accentuando le diseguaglianze esistenti. Non solo, anche laddove lo screening era più consolidato, il ritardo e il contenimento nella erogazione dell’intervento potrebbe pesare maggiormente su soggetti più fragili e più deprivati a fronte invece di un maggior ricorso alla sanità privata da parte delle categorie con livelli di istruzione e socioeconomici più elevati. Di conseguenza, le persone che potrebbero risentire maggiormente dell’impatto negativo del ritardo sarebbero quelle appartenenti alle fasce di popolazione più fragile. Ulteriori timori sono inoltre quelli legati alla partecipazione da parte dei cittadini infatti la rilevazione condotta dall’ONS ha evidenziato una minore propensione alla partecipazione pari a -24% per lo screening cervicale, a -30% per lo screening colorettale e -29% per lo screening mammografico.

Considerazioni conclusive

I dati presentati forniscono un aggiornamento della stima quantitativa dei ritardi che si stanno accumulando nei programmi di screening oncologico in seguito all’epidemia di Covid-19. Nella prima survey il periodo gennaio – maggio comprendeva momenti molto diversi: gennaio e parte di febbraio erano mesi antecedenti l’emergenza epidemica, marzo ed aprile quelli del lockdown, maggio il primo mese di parziale ripresa. I mesi aggiuntivi considerati nella presente indagine rappresentano un periodo di potenziale ripresa e di recupero. Nel valutare i risultati presentati bisogna considerare diversi elementi. Per avere un confronto stringente sono stati presi come riferimento gli stessi mesi del 2019. Così facendo, da un lato si può andare incontro a oscillazioni casuali, dall’altro si deve tenere conto che nel 2019 la copertura dei programmi di screening non era adeguata in tutte le Regioni. In ogni caso, la differenza fra il 2020 e il 2019 rende conto della differenza rispetto alla “normalità” precedente. Per quanto riguarda lo screening cervicale bisogna considerare inoltre che, a causa del passaggio al test HPV primario, in alcune Regioni gli inviti e gli esami attesi per il 2020 erano minori. L’evidenza principale che emerge da questa seconda indagine è che non vi è stato un recupero rispetto al ritardo accumulato precedentemente, ma anzi il ritardo si è accentuato. Peraltro le criticità indotte dalla pandemia sembrano essere più accentuate in quelle realtà dove, già in epoca pre Covid, critica era l’offerta del test di screening e l’erogazione degli approfondimenti diagnostici necessari. I dati presentati mostrano come riduzioni del volume di attività, mantenute nel tempo, possano rapidamente determinare ritardi che potrebbero ridurre l’effetto protettivo dello screening e come sia quindi necessario riavviare al più presto i programmi su tutto il territorio nazionale. L’ONS ha quindi suggerito che la risposta a questa situazione critica da parte dei decisori a diversi livelli istituzionali (Ministero, Regioni/PA, Direzioni Aziendali) non possa e non debba limitarsi a una generica raccomandazione ad effettuare i test di screening, ma deve consolidarsi in adeguate azioni mirate a ripristinare il livello di attività necessario per la copertura della popolazione bersaglio e ad assicurare il recupero del ritardo accumulato. In sintesi il sistema screening va fortemente ripensato nel suo complesso e con logiche di importante ristrutturazione, ovvero di corretta, efficiente e stabile allocazione delle risorse (comprese quelle infrastrutturali come i sistemi informativi e le relative integrazioni con le nuove tecnologie), davvero commisurata alle necessità. Anche l’adozione di criteri di priorità per la programmazione degli inviti può contribuire a mitigare gli effetti negativi del ritardo, anche se con tempi più lunghi per un ritorno alla normalità. Con lo stesso intento, sarebbe opportuna la rivalutazione degli approcci e dei protocolli adottati nella pratica clinica extra-screening quali quelli di diagnosi precoce su base spontanea in contesti ambulatoriali o la gestione dei soggetti inseriti in percorsi di sorveglianza e follow-up. Una più adeguata allocazione di risorse può essere affiancata da altre strategie ed anzi si può pensare di cogliere questo difficile momento come una opportunità che, a partire dalle evidenze scientifiche più recenti, permetta di introdurre ad esempio protocolli modulati sulla base del rischio individuale. Logiche di de-intensificazione dell’offerta che le valutazioni di appropriatezza sembrano far emergere (ad esempio posticipazione dell’invito a 30 anni dello screening cervicale per le ragazze vaccinate a 12 anni e che oggi hanno 25 anni) potrebbero contribuire ad un uso e una distribuzione più equa delle risorse.

L’altro elemento cruciale che emerge è quello della partecipazione della popolazione, che in tutti e tre i programmi di screening sembra essersi ridotta in maniera sensibile. Se le persone che non hanno aderito all’invito lo faranno in ritardo, il rischio di perdere il vantaggio di una diagnosi precoce sarà ancora limitato; se tuttavia non verrà recuperato il test di screening, passando all’invito successivo, il danno delle lesioni non diagnosticate potrebbe diventare clinicamente importante. Prevedere all’attenuarsi della curva epidemica un potenziamento della capacità di erogazione dei programmi, incluso l’invio di solleciti attualmente sospeso in molti programmi, potrebbe essere di grande aiuto. E’ chiaro che, anche in questo caso, sarà necessario adottare un approccio sistematico e strutturato di comunicazione efficace che nasca da una forte sinergia tra programmi di screening, istituzioni locali e regionali, società scientifiche di settore, i media e le associazioni dei cittadini e dei malati. Non solo, l’adozione di nuovi approcci basati sul livello di rischio individuale, rappresenta una sfida comunicativa importante e da non trascurare in alcun modo. Se da un lato i programmi di screening e le istituzioni dovranno essere in grado di garantire l’erogazione dei servizi in piena sicurezza, è altresì necessario capire più in profondità le motivazioni dei cittadini. E’ verosimile che l’analisi di queste motivazioni induca i servizi sanitari ad adottare modalità organizzative differenti e più in linea con i fabbisogni della popolazione, ma già fin d’ora è necessario adoperarsi per colmare il divario esistente relativo all’innovazione digitale: anche se la modalità di contatto postale rimarrà senz’altro una modalità di contatto valida, è evidente che sistemi di comunicazione differenti, più veloci e più capillari potranno aiutare i cittadini ad essere più confidenti rispetto a questi interventi di sanità pubblica. L’innovazione tecnologica dovrà anche passare attraverso la realizzazione di sistemi informativi in grado di fornire informazioni quasi in tempo reale in merito non solo all’andamento generale dei programmi, ma anche alla efficacia e alla efficienza delle nuove modalità organizzative e dei nuovi protocolli diagnostici adottati.

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13° Rapporto - Capitolo 13

Screening oncologici al tempo della pandemia da SARS-CoV-2