15. La vaccinazione antinfluenzale in oncologia, nell’era di Covid 19

a cura di P. Varese – F.A.V.O., M. Bersanelli – Oncologia Medica Parma, M. Di Maio – AIOM, L. Icardi – Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni

Introduzione

Il presente Capitolo era stato ipotizzato per affrontare il tema, in passato molto controverso, del ruolo della vaccinazione antinfluenzale nei pazienti affetti da cancro.

In passato, le raccomandazioni pragmatiche erano state di vaccinare la famiglia e le persone a diretto contatto con il paziente per proteggerlo in una sorta profilassi “ambientale” e non attiva.

Dal 2012 l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) consiglia la vaccinazione antinfluenzale sia nei pazienti in trattamento attivo che nei non trattati, in quanto “sicura, minimamente invasiva e a costi contenuti”. I dati di Eurostat del dicembre 2019 relativi alla vaccinazione negli over 65enni, tuttavia, denunciavano un crollo della copertura vaccinale dal 63% del 2012 al 52% del 2017. Cosa è successo nei malati oncologici?

La nostra intenzione iniziale era tracciare lo stato dell’arte sul ruolo della vaccinazione in oncologia, anche alla luce di dati recenti su possibili interazioni cliniche tra vaccinazione antinfluenzale e immunoterapia. Poi è arrivato COVID19.

Il 31.01.2020 il Ministero ha dichiarato lo stato di emergenza e l’11.3.2020 l’OMS ha dichiarato la pandemia globale da SARS-Cov2.

Gli oncologi sono stati in prima linea nell’affrontare l’emergenza sia impegnandosi attivamente nei Reparti COVID, sia riorganizzando la propria attività per garantire sicurezza ma anche continuità delle cure ai propri pazienti.

Sono stati però temporaneamente interrotti gli screenings, molti interventi chirurgici sono stati rinviati dal momento che le sale operatorie e gli operatori sanitari erano fisicamente impegnati nel trattamento dei pazienti affetti da COVID, molti trattamenti sono stati rimodulati per affrontare l’emergenza, riducendo gli accessi dei pazienti in ospedale allo scopo di ridurre i rischi di contagio.

L’avvio della fase 2 è stato caratterizzato dalla ripresa graduale delle attività, mantenendo le regole del distanziamento sociale con rigorosi percorsi di accesso, con un’attenzione alla supposta recrudescenza della pandemia nell’autunno 2020.

Il tema della vaccinazione antinfluenzale non solo diventa estremamente attuale in questo contesto, ma impone una globale rivisitazione alla luce di COVID 19.

Il virus responsabile dell’infezione COVID 19 ha dimostrato di causare una imponente cascata di citochine, causa principale non solo dei danni polmonari, ma anche renali, cardiaci, neurologici e cutanei.

Gli oncologi fino alle comunicazioni del congresso ASCO 2020 temevano che l’immunoterapia con farmaci anti PD e anti PDL1, che negli ultimi anni è diventata parte importante del trattamento di numerosi tipi di tumori, potesse essere causa di peggioramento clinico se i pazienti, specialmente quelli affetti da cancro del polmone, avessero contratto l’infezione da COVID 19. Alcuni dei risultati presentati all’ASCO hanno rassicurato in tal senso, anche se i dati di andamento clinico e di mortalità dei pazienti oncologici che si sono ammalati di COVID19, in particolare quelli affetti da neoplasie toraciche, hanno evidenziato un rischio clinico notevole. E con la vaccinazione antinfluenzale?

Infettivologi e virologi hanno ipotizzato nel prossimo autunno una cocircolazione di virus influenzali e SARS-Cov2.

Il 4 giugno 2020 il Ministero ha diffuso una circolare intitolata “Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2020-2021”.

Scopo di detta Circolare è ”migliorare la capacità del sistema sanitario di rispondere ad una eventuale situazione di crisi, nonché a proseguire l’impegno nei programmi di prevenzione delle malattie infettive, avviandone di nuovi se opportuno, garantendone applicabilità e sostenibilità”.

La circolare ribadisce “L’importanza della vaccinazione antinfluenzale, in particolare nei soggetti ad alto rischio di tutte le età, per semplificare la diagnosi e la gestione dei casi sospetti, dati i sintomi simili tra Covid-19 e Influenza. Vaccinando contro l’influenza, inoltre, si riducono le complicanze da influenza nei soggetti a rischio e gli accessi al pronto soccorso”.

La Circolare estende la raccomandazione di vaccinazione, oltre che ai soggetti di età superiore ai 65 anni, alle persone tra i 60 e 64 anni, solitamente escluse dalle campagne vaccinali a carico del SSN: “Per la stagione 2020-2021, a causa dell’emergenza COVID-19, al fine di facilitare la diagnosi differenziale nelle fasce d’età di maggiore rischio di malattia grave, la vaccinazione antinfluenzale può essere offerta gratuitamente nella fascia d’età 60-64 anni. Per quanto riguarda gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie che operano a contatto con i pazienti, e gli anziani istituzionalizzati in strutture residenziali o di lungo degenza, la vaccinazione è fortemente raccomandata nella prospettiva di una iniziativa legislativa che la renda obbligatoria”.

Nel presente capitolo esamineremo alcuni aspetti specifici clinici e organizzativi relativi alla vaccinazione nei pazienti oncologici: chi vaccinare, perché, con quali limiti e come.

Mod. da Tabella 1 tratta da circolare Ministeriale tratta da categorie di pazienti a rischio di contrarre influenza per le quali la vaccinazione è raccomandata:

Mod. da Tabella 1 tratta da circolare Ministeriale tratta da categorie di pazienti a rischio di contrarre influenza per le quali la vaccinazione è raccomandata:

Vaccino antinfluenzale nei malati oncologici: impatto positivo

Negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni studi che valutano l’impatto della vaccinazione antinfluenzale sul decorso clinico dei pazienti oncologici.

L’immunodepressione correlata ai trattamenti può facilitare l’insorgenza di sovrainfezioni e di complicanze influenzali come polmonite grave nei pazienti oncologici, con una mortalità che raggiunge il 9.5% nel caso dei pazienti trattati con chemioterapia. Questi dati hanno fatto sì che molte linee guida negli ultimi anni consigliassero la vaccinazione nei pazienti affetti da neoplasie in trattamento attivo.

L’indicazione alla vaccinazione è supportata da evidenze più solide e considerata sicura durante la chemioterapia classica ed è effettuabile in qualsiasi momento della stessa. I limiti possono essere costituiti da risposta anticorpale attesa inferiore e dunque efficacia protettiva inferiore rispetto al paziente sano.

Un tema molto dibattuto di recente, invece, è il ruolo della vaccinazione antinfluenzale in pazienti con tumori solidi in trattamento con immunoterapia.

Questo quesito è stato approfondito nello studio INVIDIa (INfluenza Vaccine Indication During therapy with Immune checkpoint inhibitors: a transversal challenge) pubblicato su: Immunotherapy 2018-10(14) e 2020-12(2) che, dopo aver consentito nel 2018 la pubblicazione dei risultati relativi all’impiego del vaccino e alla protezione dalla sindrome influenzale nei pazienti oncologici, nel 2020 ha visto la pubblicazione dei dati di sopravvivenza sulla rivista Immunotherapy 2020-12(2).

Si tratta di uno studio retrospettivo spontaneo, multicentrico in 21 centri Italiani, che ha esaminato 300 pazienti di cui 79 sottoposti a vaccinazione antinfluenzale (trivalente o quadrivalente), confrontati con i rimanenti 221 non vaccinati.

Tra le varie informazioni raccolte dallo studio, che è molto articolato e esamina non solo l’impatto del vaccino ma anche lo sviluppo di una sindrome influenzale, è emerso un messaggio importante: gli anziani vaccinati vivono più a lungo dei non vaccinati (Grafico 1, tratta dalla pubblicazione: Immunotherapy 2020-12(2)).

Parimenti maggiore sopravvivenza si è osservata in pazienti affetti da cancro al polmone (grafico 2 tratto dallo stesso lavoro).

Grafico 1 tratto da: IMMUnoTHerapY 2020-12(2)

Dati relativi a pazienti anziani> 71 anni: netto aumento della sopravvivenza nei pazienti vaccinati

Dati relativi a pazienti anziani> 71 anni: netto aumento della sopravvivenza nei pazienti vaccinati

Grafico 2: analisi finale (2020) relativa a pazienti con cancro al polmone: vantaggio significativo in termini di aumento sopravvivenza media del gruppo vaccinato o che ha sviluppato sindrome influenzale 27.7 mesi verso 15.5 mesi (tratto da: IMMunotherapy 2020-12 (2)

Grafico 2: analisi finale (2020) relativa a pazienti con cancro al polmone

Nello studio INVIDIa-2, promosso da FICOG (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups) con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha arruolato 1260 pazienti oncologici immunotrattati in 82 centri oncologici, la copertura vaccinale è stata del 50% (a fronte del 52% dato nazionale), risultato che, anche se migliorabile, è da considerare comunque ottimo, in considerazione del fatto che spesso ai pazienti oncologici il vaccino non viene proposto.

Questo studio ha lo scopo di verificare le implicazioni immunologiche della vaccinazione antinfluenzale.

I pazienti in immunoterapia hanno maggiori possibilità di reagire anche ai virus influenzali o alla vaccinazione?

Possono sviluppare con più facilità reazioni avverse all’immunoterapia stessa?

Perché i pazienti anziani vaccinati dello studio Invidia hanno un decorso oncologico più favorevole indipendentemente dallo sviluppo di una sindrome influenzale?

Le risposte non sono ancora definitive, ma la conclusione al momento è sempre la stessa: conviene vaccinare sia i pazienti che i familiari conviventi.

I recenti dati hanno contribuito anche a rimuovere alcuni timori: la terapia in corso, la presenza di leucopenia non aumentano il rischio di sviluppo di reazioni avverse da vaccino anti influenzale. Il vaccino non ha alcun impatto negativo sull’efficacia della terapia o sulla sua durata.

Malgrado gli studi pubblicati non siano numerosi, tutti concordano: i pazienti vaccinati, indipendentemente dall’effetto protettivo nello sviluppo dei sintomi, vivono di più.

Una spiegazione in corso di verifica con studi di ricerca di base, intuita peraltro già a fine 800 da W.B.Coley, che aveva osservato la regressione di un osteosarcoma dopo la sviluppo di una grave infezione batterica loco-regionale da streptococco, è che gli stimoli “ esterni” come gli antigeni contenuti nel vaccino antinfluenzale, possano funzionare da co-attivatori del sistema immunitario.

Occorrono ovviamente studi prospettici per verificare cosa succeda nei pazienti in trattamento con immuno-terapia e, come sempre nel contesto di una buona medicina, ogni approccio terapeutico va contestualizzato nel rapporto rischio beneficio e della storia clinica del singolo paziente.

Il ruolo delle regioni e della medicina territoriale nella vaccinazione antinfluenzale 2020-2021 nel contrasto a Covid 19

La circolare Ministeriale del 4.6.2020 pone come target vaccinale per l’influenza una larga fascia di persone finora esclusi dalla erogazione gratuita: quelle tra i 60 e i 64 anni.

È  un significativo allargamento della platea che mira a offrire protezione a persone che statisticamente hanno maggiore probabilità di avere più malattie croniche associate.

La circolare Ministeriale “raccomanda” la vaccinazione senza imporla.

La maggior parte delle Regioni, eccetto il Lazio che ha deciso di renderla obbligatoria ( prevedendo sanzioni per chi non si vaccina, come l’impossibilità di partecipare in luoghi chiusi ad attività sociali in strutture come case di riposo, centri sociali o luoghi di aggregazioni, in cui non si possa avere il giusto distanziamento o nel caso di operatori sanitari, per i quali consisterebbe nella inidoneità temporanea allo svolgimento della mansione lavorativa) ha deciso di rinforzare le proprie campagne mediatiche per sensibilizzare la popolazione sull’importanza del vaccino antinfluenzale, in attesa che esso possa essere, si spera entro fine 2020, affiancato dal vaccino anti COVID 19.

Gli Amministratori devono rimettersi alle evidenze scientifiche ma sulla potenziale efficacia del vaccino anti COVID 19 gli stessi ricercatori, molto pressati da aspettative planetarie, hanno pareri discordi.

Diventa perciò mandatorio affrontare il tema da un punto di vista strategico organizzativo, che possa aiutare di fronte a ogni tipo di pandemia, non solo COVID 19.

La stessa influenza ogni anno si calcola possa causare almeno 8000 morti in Italia con un range di incidenza, a seconda delle fasce di età, che varia dal 4 al 15% con una media del 9%. Secondo dati di EUROSTAT del 2016, il tasso di mortalità per influenza è dello 0.44% sull’intera popolazione con un picco di 1.87% tra le persone con età maggiore di 65 anni.

Per COVID 19 il tasso di mortalità secondo l’OMS è pari al 3.4% ma sappiamo che in certe aree del Paese tale tasso è stato molto più elevato. Tali numeri vanno però disaggregati in base alle specifiche categorie di rischio. Secondo dati dei Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CDC) cinesi, il tasso di letalità nei pazienti senza altri problemi di salute è stato dello 0,9%, a fronte del 10,5% per le persone con malattie cardiovascolari, del 7,3% per quelle con diabete, del 6,3% per le persone con malattie respiratorie croniche, del 6,0% per le persone con ipertensione e del 5,6% per quelle con cancro.

Per l’influenza, sono disponibili dati analoghi al COVID in merito alle comorbidità. Secondo l’ISS: l’84% dei casi gravi di influenza e l’89% dei deceduti per essa, aveva almeno una condizione di rischio preesistente come diabete, tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, obesità.

E soprattutto l’80% dei casi gravi non era vaccinato.

Per quanto riguarda il COVID19, il tasso di mortalità, risente tuttavia del reale dato di prevalenza dell’infezione da COVID19 che dagli epidemiologi viene considerato sottostimato: forse di 10 volte superiore.

È intuitivo considerare che la contemporanea circolazione del virus influenzale e di COVID 19, caratterizzati da sintomatologia respiratoria in parte sovrapponibile, pone gravi problematiche gestionali cliniche e organizzative.

A fronte di un obiettivo europeo di copertura vaccinale per influenza del 95% per la popolazione a rischio e del 75% per tutti, secondo i dati OCSE 2018, l’Italia è in settimana posizione con una copertura del 52.7%.

Cosa possono fare le Regioni?

Sicuramente potenziare le campagne vaccinali, peraltro consapevoli che ogni azione mediatica scatena controreazioni ideologiche, ad esempio da parte dei no vax.

Ma esiste un settore di intervento più incisivo ed è quello sul territorio, che durante la pandemia è stato, a seconda dei contesti, punto di forza o di debolezza.

Non pensiamo sia casuale che alcuni dei progetti di maggiore integrazione con il territorio a livello nazionale siano stati portati avanti grazie alla collaborazione di oncologi e Medici di Medicina generale: l’oncologia deve necessariamente mettere in atto strategie di continuità assistenziale ospedale-territorio, nell’ottica ormai condivisa delle “simultaneous care”.

Quali le azioni?

  • Il potenziamento delle Reti territoriali con Medici di medicina generale, Infermieri di famiglia/comunità e le USCA (Unità speciali di continuità Assistenziale), istituite nel DECRETO CURA ITALIA nel numero di una ogni 50 mila abitanti, ma che potrebbero rimanere in carico ai Servizi territoriali ben oltre la pandemia istituendo percorsi ad hoc in cure palliative. La formazione in cure palliative si è rivelata strategica durante la gestione domiciliare dei pazienti anziani COVID positivi, affetti da molteplici patologie e non suscettibili di trattamento intensivo ospedaliero.
  • Apertura di tavoli di confronto con l’Università per aumentare il numero di borse di studio, peraltro normalmente finanziate con il Fondo sanitario nazionale, per permettere l’inserimento precoce degli specializzandi negli Ospedali.
  • Aumento delle borse di studio per gli aspiranti Medici di Medicina Generale per garantire capillarità di presenza sul territorio e ricambio generazionale in vista dei pensionamenti previsti nei prossimi anni.
  • Avvio di programmi di telemedicina, sapendo peraltro che l’alfabetizzazione informatica del Paese è molto carente (dati OCSE 2019: solo il 36% della popolazione è in grado di utilizzare internet in modo articolato) e questo dovrebbe comprendere investimenti tecnologici ma anche formativi per operatori, cittadini, malati e loro familiari.

In Piemonte, una delle Regioni più colpite dalla pandemia, per garantire omogeneità di approccio, è stato istituito il Dipartimento sanitario interaziendale funzionale “Malattie ed emergenze infettive”, che si occuperà del coordinamento delle diverse Unità operative delle aziende sanitarie coinvolte nella gestione delle malattie infettive e delle relative emergenze.

Detto organismo “dovrà garantire il coordinamento nell’ambito della gestione dell’emergenza Covid-19 in modo strutturale, per garantire un livello di presidio adeguato alle emergenze di tipo infettivo, anche di carattere ricorrente, ad iniziare dalle sindromi influenzali, di possibile diffusione a livello nazionale e regionale in una società globale”. Il Dipartimento sarà costituito dall’aggregazione dei Servizi di igiene e sanità pubblica (Sisp) dei Dipartimenti di prevenzione, dei Servizi di prevenzione e controllo delle infezioni correlate all’assistenza, delle Unità di gestione del rischio sanitario e dei Servizi malattie infettive istituiti presso le aziende sanitarie, del Servizio di riferimento regionale di Epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive. Dovrà rapportarsi con la Direzione Sanità e Welfare e i settori regionali competenti sui sistemi di monitoraggio ed informativi legati all’attuale situazione emergenziale, si dovrà fare carico delle iniziative necessarie alla gestione delle malattie infettive disponendo di una Centrale operativa regionale. Quest’ultima assumerà, altresì, tutte le iniziative necessarie al coordinamento delle attività sanitarie e socio-sanitarie territoriali, così come implementate nei piani regionali, in raccordo con tutti i servizi ed il Sistema di emergenza-urgenza, anche mediante strumenti informativi e di telemedicina.

In altre Regioni, le stesse funzioni sono assolte dal Dipartimento regionale di Sanità Pubblica.

Conclusioni

Non è chiaro, al momento in cui scriviamo (giugno 2020) se il vaccino anti COVID 19 sarà disponibile entro fine anno e se sarà efficace.

L’Italia è in prima linea nella ricerca e ha dato vita a un coordinamento europeo con Germania e Francia per garantire la produzione di oltre 400 milioni di dosi di vaccino, se esso dovesse superare i tests clinici. Ma la pandemia ci ha insegnato due concetti: PRUDENZA e GLOBALITÀ DI VISIONE.

Malgrado COVID 19, le altre malattie non sono cessate: altre malattie infettive, a cominciare dall’influenza, esisteranno e colpiranno molti dei nostri pazienti, con elevata incidenza di complicanze.

I dati immunologici ci aprono scenari molto affascinanti: un possibile impatto sulla sopravvivenza del vaccino antinfluenzale nei pazienti anziani, o nei pazienti con cancro polmonare, a prescindere dallo sviluppo o meno di sintomi influenzali.

Eppure, al di fuori di studi clinici, la vaccinazione antinfluenzale (così come quella anti pneumococco) non sempre viene proposta ai pazienti oncologici. Prova ne sia anche il sistema PASSI (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia) e il programma Influnet non analizzano in modo dettagliato e disaggregato per età e patologia i pazienti oncologici sottoposti a vaccinazione, tutti fatti confluire nel capitolo più globale della cronicità.

I dati recuperabili sono relativi alle stagioni 2006/2007 e 2007/2008 in cui la percentuale di pazienti oncologici vaccinati tra i 18 e i 64 anni era rispettivamente del 26% e 21%. Nelle campagne vaccinali del 2016/2017 e 2017/2018 la copertura vaccinale dei malati di cancro è scesa al 19%.

Le Associazioni dei malati, ancora una volta, con la loro capillare presenza, potranno sostenere le Società scientifiche come AIOM, nell’opera di sensibilizzazione verso i malati di cancro: si tratta di 3.460.025, il 5,3% degli Italiani, a cui vanno aggiunti i loro familiari.

Occuparsi di loro significa aumentare significativamente la percentuale di copertura vaccinale a livello nazionale con un possibile positivo impatto epidemiologico.

Il COVID ha avuto una pesante ricaduta sui servizi di diagnosi e cura, a cominciare dagli screenings.

È necessario attivare tutte le sinergie affinché la tragica esperienza di marzo-aprile 2020 non debba più ripetersi.

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12° Rapporto - Capitolo 15

La vaccinazione antinfluenzale in oncologia, nell’era di Covid 19