6. Il nuovo ruolo delle associazioni di pazienti nelle Reti oncologiche regionali
a cura di M. Campagna, E. Iannelli, L. Del Campo, F. Traclò e F. De Lorenzo – F.A.V.O.
Il non profit in sanità: cenni introduttivi
A partire dal 2011, gli atti di indirizzo e pianificazione per il settore oncologico hanno riconosciuto e valorizzato il contributo multidimensionale e multifunzionale degli enti non profit, fino all’inserimento formale delle associazioni di pazienti e di volontariato tra le componenti della Rete oncologica regionale. L’associazionismo, che in passato ha fornito principalmente un supporto operativo nell’ambito dell’assistenza, è chiamato a contribuire alla definizione e alla programmazione delle attività dei professionisti, delle strutture e delle funzioni riuniti e coordinati nella Rete e a valutarne i risultati. Si tratta di un cambio di prospettiva molto rilevante.
Grazie alla maturità e al livello di preparazione tecnica raggiunti, le rappresentanze dei malati di cancro sono oggi in grado individuare in anticipo i bisogni ancora inespressi dei pazienti, e di tradurli in istanze e proposte idonee, anche dal punto di vista formale, ad essere esaminate dalle Pubbliche amministrazioni competenti. La stretta contiguità con i malati, con le loro famiglie e con i caregiver, consente inoltre all’associazionismo di monitorare e di valutare direttamente “sul campo” l’efficacia complessiva delle attività di diagnosi e cura e di assistenza, in ogni sua dimensione, anche attraverso parametri non clinici, ma comunque di fondamentale importanza perché relativi alla qualità della vita, sia nella dimensione individuale, sia in quella sociale.
Se già la legge 23 dicembre 1978, n. 833 istitutiva del Servizio sanitario nazionale riconosceva alle associazioni di volontariato la funzione di concorrere al conseguimento dei fini istituzionali del Servizio stesso (art. 45), il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 di riordino della sanità ha previsto, in modo più incisivo, il coinvolgimento dei cittadini, delle loro organizzazioni, anche sindacali, e in particolare degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti nelle fasi dell’impostazione della programmazione e verifica dei risultati conseguiti. Il contributo di tali soggetti avrebbe dovuto essere prioritariamente finalizzato alla raccolta di informazioni sull’organizzazione dei servizi, nell’ottica di garantire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze dei cittadini utenti (art. 14, d.lgs. 502/1992). Tale impostazione, confermata dalla Riforma del 1999 (d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229), costituisce un importante precedente che si colloca, senza soluzione di continuità, nella dinamica evolutiva del ruolo degli enti non profit e più in generale delle rappresentanze di cittadini e utenti nel settore sanitario, e che vede nella partecipazione alle Reti per patologia la punta più avanzata. Le Regioni, secondo quanto previsto dal legislatore del 1999, avrebbero dovuto prevedere forme di partecipazione delle organizzazioni di cittadini e del volontariato impegnato nella tutela della salute nelle attività relative alla programmazione, al controllo e alla valutazione dei servizi sanitari a livello regionale, aziendale e distrettuale. Tali funzioni sono state confermate e attualizzate con riferimento alla partecipazione alle Reti per patologia, che rappresentano un contesto operativo altamente specialistico e a forte “vocazione clinica”.
In questo contributo, dopo l’illustrazione delle tappe istituzionali che hanno portato al pieno riconoscimento del ruolo delle Associazioni di pazienti nelle Reti oncologiche regionali (v. Grafica 1), saranno esaminate le principali problematiche applicative dell’ultimo provvedimento in ordine di tempo che, alla luce dell’evoluzione del modello organizzativo “a rete”, ha ulteriormente valorizzato il contributo del non profit: l’Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2019[1] con cui è stato approvato il documento “Revisione delle Linee Guida organizzative e delle raccomandazioni per la Rete Oncologica che integra l’attività ospedaliera per acuti e post acuti con l’attività territoriale”.Grafica 1
Il non profit in oncologia: il Piano Oncologico Nazionale (2011) e la Guida per la costituzione delle Reti oncologiche regionali (2014)
Il Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del Cancro per il triennio 2011-2013 (cosiddetto Piano Oncologico Nazionale – PON)[2] aveva definito il patrimonio di capacità umane, professionali e organizzative espressione del volontariato «un bene al quale attingere, che necessita di un riconoscimento adeguato» (par. 3.2.8). L’integrazione con il non profit e il volontariato in particolare, quale azione specifica del Piano, si sarebbe dovuta sviluppare avendo quali presupposti gli interventi caratterizzati dalla relazione d’aiuto e il supporto inserito nei livelli assistenziali contenuti nelle diverse aree di intervento. Il PON aveva inoltre chiaramente specificato che gli enti non profit avrebbero dovuto essere integrati in un progetto globale, affinché il loro contributo non si riducesse a un solo intervento vicariante l’eventuale carenza di risorse pubbliche. Il Piano aveva quindi cercato di contenere il rischio di una deresponsabilizzazione della sanità pubblica, fondata proprio sull’integrazione di soggetti esterni (le associazioni) nelle attività programmate.
Per la prima volta, è stato altresì delineato con chiarezza il contesto operativo per l’inserimento del non profit: con specifico riferimento ai modelli organizzativi per la gestione del percorso di cura del malato, il punto 3.2.1, infatti, (Ottimizzazione dei percorsi di cura e organizzazione di rete) aveva indicato la Rete Oncologica Regionale (ROR) quale modello più efficace ed efficiente. In generale, la Rete “assicura la presa in carico del paziente mettendo in relazione, con modalità formalizzate e coordinate, professionisti, strutture e servizi che erogano interventi sanitari e sociosanitari di tipologia e livelli diversi nel rispetto della continuità assistenziale e dell’appropriatezza clinica e organizzativa. […] individua i nodi e le relative connessioni definendone le regole di funzionamento, il sistema di monitoraggio, i requisiti di qualità e sicurezza dei processi e dei percorsi di cura, di qualificazione dei professionisti e le modalità di coinvolgimento dei cittadini” (Linee Guida per la Revisione delle Reti cliniche, approvato con Accordo Stato-Regioni del 24 gennaio 2018)[3]. Tra gli obiettivi specifici delle Reti regionali oncologiche, il Piano del 2011 aveva quindi espressamente previsto la valorizzazione delle risorse del volontariato operativo a livello ospedaliero e sul territorio.Ai sensi dell’articolo 2 dell’Intesa con cui è stato approvato il PON, un Gruppo di Lavoro composto dai rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome avrebbe poi dovuto elaborare un documento di linee guida per lo sviluppo delle Reti oncologiche, con contenuti sia tecnico-scientifici, sia organizzativi, basati sull’analisi delle evidenze e delle buone pratiche.
Con la successiva Intesa Stato-Regioni del 30 ottobre 2014[4], da un lato si è prorogato fino al 2016 il PON (art. 1), dall’altro è stato disposto il recepimento della Guida per la costituzione delle Reti oncologiche regionali, nel frattempo elaborata, tra i contenuti dello stesso Piano (art. 2).Tra i criteri della Guida caratterizzanti una rete di buona qualità, il n. 10 (Garantire la partecipazione attiva delle associazioni di pazienti), in particolare, ha fatto registrare un notevole passo avanti nel percorso per il riconoscimento del ruolo degli enti non profit, stabilendo che il volontariato, e più in generale l’associazionismo in campo oncologico, sono una delle componenti formalmente riconosciute dalla Rete e, come tali, dispongono di un tavolo permanente e partecipano ai livelli rappresentativi e direzionali, definendo di concerto con il Coordinamento regionale della Rete gli ambiti di integrazione e di collaborazione.
Il volontariato “accreditato” dalla rete inoltre svolge specifiche funzioni di integrazione e/o completamento dell’offerta istituzionale.
Con l’approvazione della Guida, l’associazionismo ha potuto contare quindi su uno specifico contesto operativo di riferimento, formalmente definito nella sua logica di funzionamento, nei presupposti e nelle finalità, nell’ambito del quale organizzare il proprio apporto, modificarlo, valorizzarlo, misurarlo: ha preso così forma quell’integrazione delle associazioni in un progetto globale per l’assistenza e la cura del cancro auspicata dal PON nel 2011.
La Revisione delle Linee Guida per la Rete Oncologica (2019)
Con l’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome del 17 aprile 2019[5] è stato da ultimo approvato il documento Revisione delle Linee Guida organizzative e delle raccomandazioni per la Rete Oncologica che integra l’attività ospedaliera per acuti e post acuti con l’attività territoriale. Lo sviluppo del modello poggia su alcuni fondamentali presupposti:
- la crescente complessità dei bisogni sanitari;
- l’insufficienza della risposta incentrata esclusivamente sull’azienda sanitaria.
Se l’integrazione tra ospedale e territorio e la relativa rimodulazione del loro contributo potrebbero costituire operazioni comprese entro i confini dell’Azienda sanitaria, (solo) la Rete consente di approntare una risposta assistenziale per il cancro che comprenda soggetti e funzioni “extraziendali”, altrettanto rilevanti.
Nell’ottica di promuovere la massima integrazione dei soggetti coinvolti nella presa in carico e nella definizione dei fabbisogni dei malati, il ruolo dell’associazionismo oncologico è stato quindi ulteriormente valorizzato in una prospettiva multidimensionale e multifunzionale, alla luce dell’evoluzione della Rete quale modello organizzativo.
Le associazioni sono state confermate tra le articolazioni delle Reti oncologiche, fino a prevedere che il funzionamento di queste ultime viene assicurato solo quando è presente l’effettiva rappresentatività dei pazienti (par. 1.1) organizzata in associazioni. Di rilevante importanza, la previsione che ribadisce, in modo più incisivo,
che “deve essere rafforzato il ruolo del volontariato e dell’associazionismo in campo oncologico, componenti formalmente riconosciute della rete, prevedendone la partecipazione ai livelli rappresentativi e direzionali, così come alle funzioni di integrazione e/o completamento dell’offerta istituzionale” (par. 7.2).
Gli estensori delle Linee Guida, nell’ottica di prevedere formalmente una determinante partecipazione delle associazioni alla governance sanitaria, hanno opportunamente approfondito la distinzione tra attivismo civico, e cioè la spontanea mobilitazione dei cittadini che si uniscono in varie forme per tutelare diritti, curare beni comuni, e promuovere l’empowerment di soggetti in difficoltà, e coinvolgimento istituzionale. In particolare, quest’ultimo costituirebbe una risposta all’attivismo civico che si è tradotta, in ambito sanitario, nella prassi, non ancora adeguatamente diffusa, della partecipazione dei cittadini/pazienti alla progettazione, erogazione e valutazione dei servizi sanitari (par. 1.8).
Associazioni di volontariato e associazioni di pazienti
Nella definizione degli ambiti operativi e delle funzioni pr il coinvolgimento del non profit nella Rete, gli estensori delle Linee Guida non hanno chiaramente evidenziato (né valorizzato) ciò che distingue le associazioni di pazienti dalle altre organizzazioni.
L’associazione di volontariato costituisce, infatti, una tipologia di ente espressamente disciplinata dall’ordinamento. In particolare, si tratta delle organizzazioni, aventi forma di associazione, che si avvalgono in modo prevalente delle prestazioni volontarie dei propri aderenti per lo svolgimento di una qualsiasi attività di interesse generale, perseguendo finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale. Le organizzazioni di volontariato, già disciplinate dalla legge 11 agosto 91, n. 266 abrogata, sono oggi regolate dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, cosiddetto Codice del Terzo Settore.
Il riferimento alle associazioni di pazienti (o di malati), invece, non ha alcuna corrispondenza formale nell’ordinamento. Il tenore letterale delle Linee Guida, nonché il percorso per la lenta, ma costante emersione del ruolo dell’associazionismo in oncologia, dovrebbe tuttavia indurre, nella prossima fase applicativa, a valorizzare le concrete differenze esistenti tra i soggetti non profit, nell’ottica di favorire forme di partecipazione efficaci e coerenti sia con i diversi profili degli enti coinvolti, sia con le diverse tipologie di funzioni e attività indicate dalle Linee Guida.
Alla luce della realtà associativa rappresentata da FAVO, è possibile identificare le associazioni di malati oncologici nelle organizzazioni non profit aventi forma associativa che rappresentano e sostengono, per espressa previsione statutaria, i bisogni dei malati di cancro e di chi li supporta (familiari e caregiver). Deve inoltre essere opportunamente valorizzata l’esperienza diretta della malattia nella governance delle organizzazioni, identificando così le associazioni di pazienti (o di malati) negli enti costituiti a sostegno dei pazienti oncologici i cui organi di amministrazione o di indirizzo, siano però composti in maggioranza da malati, lungo-sopravviventi e persone guarite dal cancro.
La partecipazione di questi ultimi agli organi di amministrazione e indirizzo, o comunque nelle sedi dove si definiscono le linee programmatiche dell’ente, costituisce, infatti, un tratto distintivo estremamente qualificante, soprattutto ai fini della selezione dei soggetti da coinvolgere in ambiti operativi e funzioni a vocazione specificatamente clinica, quali ad esempio, la definizione dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali.
L’impegno di FAVO
Con deliberazione n. 455 del 2 agosto 2019, il Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.Na.S.) ha istituito l’Osservatorio per il monitoraggio e la valutazione delle Reti oncologiche regionali[6], articolato al suo interno in cinque Gruppi di lavoro tematici[7]. FAVO è stata designata quale membro effettivo dell’Osservatorio e partecipa, per il tramite dei suoi rappresentanti, a tutti i Gruppi di lavoro.
La designazione della Federazione costituisce un ennesimo importante riconoscimento del ruolo svolto dalle associazioni in oncologia e un’ulteriore possibilità di contribuire in modo determinante al miglioramento dell’assistenza. A tale fine, il Comitato esecutivo FAVO ha costituito il Gruppo di ricerca per l’attuazione del documento “Revisione delle Linee Guida per la Rete Oncologica”, con specifico riferimento alle disposizioni relative al coinvolgimento delle associazioni di volontariato e di pazienti nel contesto delle attività della Rete. La Federazione intende così contribuire all’elaborazione di istruzioni operative specifiche e applicabili in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale per il coinvolgimento delle rappresentanze dei pazienti nelle Reti.
Il Gruppo di ricerca multidisciplinare, che si avvale anche di consulenti esterni, intende in particolare individuare soluzioni applicative volte a:
- valorizzare le differenze tra le tipologie degli enti di cui si compone il non profit, con particolare riferimento alle caratteristiche delle associazioni di malati, quale species del genus associazionismo oncologico;
- definire i criteri per il coinvolgimento delle rappresentanze dei malati nei diversi ambiti operativi indicati dalle Linee Guida, tenuto conto delle peculiarità delle diverse tipologie di enti;
- evidenziare i potenziali profili problematici dell’applicazione delle Linee Guida, legati anche alla necessità di coordinare le indicazioni in esse contenute con gli altri apparati normativi – in particolare con il Codice del Terzo settore.
Nel momento in cui si scrive, FAVO ha già consegnato all’Osservatorio per il monitoraggio e la valutazione delle Reti oncologiche regionali un documento che raccoglie i risultati delle prime ricerche.
Il riconoscimento formale del ruolo delle associazioni di pazienti nelle Reti rappresenta una grande conquista per i malati, ma anche una nuova prova di maturità per le loro rappresentanze, che hanno finalmente l’opportunità di incidere in modo determinante in ogni aspetto dell’assistenza, dalla definizione dei percorsi assistenziali, a tutela della qualità della vita, alla valutazione dei servizi.
Note
1. ^ Atti n. 59/CSR del 17 aprile 2019 2. ^ Approvato con Intesa Stato-Regioni del 10 febbraio 2011 (Rep. Atti n. 21/CSR del 10 febbraio 2011) 3. ^ Rep. Atti n. 14/CSR del 24 gennaio 2018 4. ^ Rep. Atti n. 144/CSR del 30 ottobre 2014 5. ^ Rep. Atti 59/CSR del 17 aprile 2019 6. ^ In attuazione di quanto disposto dal punto 3 dell’Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2019 (Rep. Atti n. 59/CSR del 17 aprile 2019) e del punto 10.2 dell’allegato sub a dell’Accordo medesimo. 7. ^ GDL 1 – Requisiti essenziali per le valutazioni delle performance; GDL 2 – PDTA, Indicatori e Flussi informativi; GDL 3 – Diritti esigibili; GDL 4 – Integrazione Ospedale-Territorio; GDL 5 – Innovazione e ricerca.Scarica questo capitolo in PDF:
12° Rapporto - Capitolo 6
Il nuovo ruolo delle associazioni di pazienti nelle Reti oncologiche regionali